Quando alla metà del XVIII secolo furono avviate le prime pionieristiche ricerche nell’area pompeiana, il luogo che in seguito sarà identificato con i Praedia di proprietà di Iulia Felix (Insula iV della Regio II) fu tra i primi ad essere interessato dagli invasivi e purtroppo devastanti sterri che miravano alla ricerca di bronzi, marmi e pitture da destinare all’allestimento del nascente Real museo di Portici. Fra i reperti di queste prime massicce attività di scavo si segnalò fin da subito il rinvenimento di frammenti pertinenti ad un singolare fregio raffigurante uomini, donne e animali in un ampio spazio aperto che, anche e soprattutto per la presenza di edifici porticati, venne immediatamente identificato con un foro. A partire dalla prima scoperta, e poi sempre più frequentemente nel corso degli anni, l’attenzione di più di uno studioso si è concentrata sui resti del fregio. gli spunti per una discussione sui costumi e sulla vita quotidiana di una città ro- mana trovarono terreno fertile in molti dei quadri distaccati dall’atrium 24 dei Praedia che vennero ripetutamente inseriti nelle sempre più diffuse opere di sin- tesi o di carattere enciclopedico. tale approccio, di stampo prettamente antiquario e prevalentemente concentrato sull’esegesi di singole scene, ha tardato ad essere superato, tanto che solo molto di recente si è cercato di pervenire ad una lettura d’insieme che renda ragione di rappresentazioni in più di un caso uniche all’interno dell’intero panorama pittorico romano. La scelta di dedicare il presente lavoro a tale argomento muove in primo luogo dalla convinzione che il fregio costituisca un documento di valore straordinario, che si presta in maniera assai efficace ad approcci multidisciplinari nello studio delle tematiche rappresentate, e di conseguenza, di aspetti socio-economici e politico-istituzionali. Se ai commentatori non è sfuggito il ruolo che l’affresco riveste nell’ambito della discussione sulla pittura romana e, più nello specifico, sulle manifestazioni della cosiddetta ‘arte popolare’, è altresì vero che esso costituisce un ricchissimo bacino di informazioni sui molteplici aspetti connessi con la vita di una città ro- mana, e ancor più di una piazza pubblica, nel i sec. d.C. il fregio con scene di vita nel foro illumina, come pochi altri documenti, quelle che per la stessa natura della documentazione epigrafica, letteraria, ma anche archeologica, si presentano in più di un caso agli occhi dello studioso moderno come zone d’ombra difficilmente indagabili. gli aspetti connessi con lo svolgimento di particolari pratiche commerciali, con l’espletamento di alcune delle funzioni sociali e civili di cui si fa carico la piazza, e perfino con il vivere quotidiano di una comunità urbana, trovano nell’affresco una dimensione, anche iconografica, del tutto nuova e originale. Ma c’è di più. Tale originalità è una conseguenza diretta delle motivazioni alla base della realizzazione dell’affresco. Esso, per le tematiche illustrate e soprattutto per la sua collocazione in un ambiente dalla forte valenza semantica, ci aiuta a definire meglio i contorni di un complesso, quale i Praedia, la cui funzione resta ancora poco chiara, nonché la fisionomia dei suoi proprietari. Il punto di partenza non può che essere costituito dalla ricostruzione delle vicende che portarono alla scoperta del fregio. Pur essendo poche e non sempre esaustive, le notizie relative ai primi anni di scavo nell’area dei Praedia permettono di affrontare con maggiore chiarezza quello che ha costituito a lungo uno dei problemi principali nell’esame dei frammenti: l’individuazione dell’ambiente in cui essi vennero rinvenuti. Il secondo capitolo, dedicato alla descrizione delle scene raffigurate, si arti- cola in diciotto paragrafi corrispondenti ai diciotto frammenti del fregio. L’esame dei singoli frammenti prende le mosse da una descrizione il più possibile accurata di ciò che è tuttora visibile. Dato il pessimo stato di conserva- zione di molti dei quadri, spesso le difficoltà nella lettura di alcuni dettagli sono state superate ricorrendo in primo luogo alle incisioni e ai disegni realizzati nella seconda metà del XVIII secolo per le Antichità di Ercolano e, in seconda analisi, alle descrizioni fornite dai primi commentatori degli affreschi. Da un lato, si è proceduto ad un esame del fregio inteso come rappresentazione di un foro, ovverosia di uno spazio dotato di una specifica identità, sia architettonica che funzionale; dall’altro, si è cercato di rintracciare il legame esistente tra le eterogenee attività raffigurate nei frammenti del fregio, individuandolo in una manifestazione dai tratti ben definiti: le nundinae. Per quanto concerne il primo aspetto, il logico presupposto secondo cui i pittori, nel raffigurare un foro in un edificio di Pompei, abbiano tratto ispirazione da una realtà ad essi ben nota, ha rappresentato lo spunto per un riesame dello status delle nostre conoscenze sul foro cittadino, cui è dedicato il terzo capitolo. Il quarto capitolo si concentra sull’esame dei punti di contatto e delle differenze tra le architetture del fregio e quelle del foro pompeiano. La possibilità di individuare differenze e affinità tra ciò che è rappresentato e ciò che conosciamo della piazza pubblica pompeiana permette di operare una riflessione sulle modalità seguite dai pittori nella realizzazione del fregio. Quest’ultimo si configura come una rappresentazione che, come è logico, non pretende di riproporre pedissequamente l’immagine del foro cittadino ma vuole piuttosto alludere ad una realtà nota all’osservatore antico tramite il ricorso a dettagli che, pur inseriti in un insieme apparentemente anonimo, risultano immediatamente riconoscibili. Le allusioni ad alcuni elementi monumentali rappresentati nel fregio si legano alle raffigurazioni di attività e azioni che costituiscono, a mio modo di vedere, un chiaro riferimento ad un contesto e ad un’occasione reale e concreta: la piazza di Pompei in un giorno di mercato (nundinae). Proprio a tale aspetto del fregio è de- dicato il quinto capitolo. Nel sesto capitolo ci si è riproposti di verificare le modalità attraverso le quali l’affresco si colloca all’interno del panorama della pittura romana e, più in particolare, della cosiddetta ‘arte popolare’. ai fini dell’interpretazione generale del fregio, si è al contempo cercato di sottolineare il ruolo assunto dall’ubicazione di quest’ultimo, vale a dire dalla sua collocazione in un ambiente peculiare quale l’atrium. Nel settimo e conclusivo capitolo confluiscono le considerazioni desunte dalle analisi condotte in precedenza. Queste, sommate al riesame di alcuni documenti epigrafici assai noti, e di altri che pur essendo di grandissimo interesse sono rimasti ai margini della discussione sui Praedia, consentono di avanzare una nuova proposta di lettura del fregio. Ne emerge l’idea di una pittura rispondente ad una duplice funzione: da un lato, un messaggio chiaro e significativo per tutti coloro che frequentavano i Praedia, accomunati dagli stessi interessi nella vita economica della città e forse coinvolti nello svolgimento delle nundinae; dall’altro, una raffigurazione che potremmo definire ‘trimalchionica’, in cui immagini di mestieri diversi si compongono in una possibile allusione all’ascesa sociale ed economica di un liberto e della propria famiglia. L’affresco rappresenta dunque il risultato di una special commission. Al redemptor ed alla sua officina si richiese di raffigurare luoghi ed eventi concreti, legati in maniera inscindibile con la realtà in cui gli osservatori e gli stessi committenti si trovavano ad operare. Ed è proprio questa considerazione, insieme alla notazione di evidenti richiami ad alcuni dei monumenti della piazza pompeiana, a costituire l’indizio decisivo a sostegno della proposta di riconoscere nel foro raffigurato una chiara e diretta allusione ad una piazza reale e ben riconoscibile, quella di Pompei. Così, pur dovendo riconoscere che il fregio non ci permette di cogliere l’effettiva realtà del foro pompeiano, non si potrà negare a costoro, e ai committenti dell’affresco, il merito di aver tramandato fino a noi l’immagine di uno spazio attivo, in piena funzione, rispondente alle esigenze della comunità cittadina anche dopo il sisma del 62 d.C. Uno spazio ben più vivo di quel campo di rovine che a lungo si è riconosciuto nel foro di Pompei.

Il foro nell'atrio. Immagini di architetture, scene di vita e di mercato nel fregio dai Praedia di Iulia Felix (Pompei, II, 4, 3)

OLIVITO, RICCARDO
2013-01-01

Abstract

Quando alla metà del XVIII secolo furono avviate le prime pionieristiche ricerche nell’area pompeiana, il luogo che in seguito sarà identificato con i Praedia di proprietà di Iulia Felix (Insula iV della Regio II) fu tra i primi ad essere interessato dagli invasivi e purtroppo devastanti sterri che miravano alla ricerca di bronzi, marmi e pitture da destinare all’allestimento del nascente Real museo di Portici. Fra i reperti di queste prime massicce attività di scavo si segnalò fin da subito il rinvenimento di frammenti pertinenti ad un singolare fregio raffigurante uomini, donne e animali in un ampio spazio aperto che, anche e soprattutto per la presenza di edifici porticati, venne immediatamente identificato con un foro. A partire dalla prima scoperta, e poi sempre più frequentemente nel corso degli anni, l’attenzione di più di uno studioso si è concentrata sui resti del fregio. gli spunti per una discussione sui costumi e sulla vita quotidiana di una città ro- mana trovarono terreno fertile in molti dei quadri distaccati dall’atrium 24 dei Praedia che vennero ripetutamente inseriti nelle sempre più diffuse opere di sin- tesi o di carattere enciclopedico. tale approccio, di stampo prettamente antiquario e prevalentemente concentrato sull’esegesi di singole scene, ha tardato ad essere superato, tanto che solo molto di recente si è cercato di pervenire ad una lettura d’insieme che renda ragione di rappresentazioni in più di un caso uniche all’interno dell’intero panorama pittorico romano. La scelta di dedicare il presente lavoro a tale argomento muove in primo luogo dalla convinzione che il fregio costituisca un documento di valore straordinario, che si presta in maniera assai efficace ad approcci multidisciplinari nello studio delle tematiche rappresentate, e di conseguenza, di aspetti socio-economici e politico-istituzionali. Se ai commentatori non è sfuggito il ruolo che l’affresco riveste nell’ambito della discussione sulla pittura romana e, più nello specifico, sulle manifestazioni della cosiddetta ‘arte popolare’, è altresì vero che esso costituisce un ricchissimo bacino di informazioni sui molteplici aspetti connessi con la vita di una città ro- mana, e ancor più di una piazza pubblica, nel i sec. d.C. il fregio con scene di vita nel foro illumina, come pochi altri documenti, quelle che per la stessa natura della documentazione epigrafica, letteraria, ma anche archeologica, si presentano in più di un caso agli occhi dello studioso moderno come zone d’ombra difficilmente indagabili. gli aspetti connessi con lo svolgimento di particolari pratiche commerciali, con l’espletamento di alcune delle funzioni sociali e civili di cui si fa carico la piazza, e perfino con il vivere quotidiano di una comunità urbana, trovano nell’affresco una dimensione, anche iconografica, del tutto nuova e originale. Ma c’è di più. Tale originalità è una conseguenza diretta delle motivazioni alla base della realizzazione dell’affresco. Esso, per le tematiche illustrate e soprattutto per la sua collocazione in un ambiente dalla forte valenza semantica, ci aiuta a definire meglio i contorni di un complesso, quale i Praedia, la cui funzione resta ancora poco chiara, nonché la fisionomia dei suoi proprietari. Il punto di partenza non può che essere costituito dalla ricostruzione delle vicende che portarono alla scoperta del fregio. Pur essendo poche e non sempre esaustive, le notizie relative ai primi anni di scavo nell’area dei Praedia permettono di affrontare con maggiore chiarezza quello che ha costituito a lungo uno dei problemi principali nell’esame dei frammenti: l’individuazione dell’ambiente in cui essi vennero rinvenuti. Il secondo capitolo, dedicato alla descrizione delle scene raffigurate, si arti- cola in diciotto paragrafi corrispondenti ai diciotto frammenti del fregio. L’esame dei singoli frammenti prende le mosse da una descrizione il più possibile accurata di ciò che è tuttora visibile. Dato il pessimo stato di conserva- zione di molti dei quadri, spesso le difficoltà nella lettura di alcuni dettagli sono state superate ricorrendo in primo luogo alle incisioni e ai disegni realizzati nella seconda metà del XVIII secolo per le Antichità di Ercolano e, in seconda analisi, alle descrizioni fornite dai primi commentatori degli affreschi. Da un lato, si è proceduto ad un esame del fregio inteso come rappresentazione di un foro, ovverosia di uno spazio dotato di una specifica identità, sia architettonica che funzionale; dall’altro, si è cercato di rintracciare il legame esistente tra le eterogenee attività raffigurate nei frammenti del fregio, individuandolo in una manifestazione dai tratti ben definiti: le nundinae. Per quanto concerne il primo aspetto, il logico presupposto secondo cui i pittori, nel raffigurare un foro in un edificio di Pompei, abbiano tratto ispirazione da una realtà ad essi ben nota, ha rappresentato lo spunto per un riesame dello status delle nostre conoscenze sul foro cittadino, cui è dedicato il terzo capitolo. Il quarto capitolo si concentra sull’esame dei punti di contatto e delle differenze tra le architetture del fregio e quelle del foro pompeiano. La possibilità di individuare differenze e affinità tra ciò che è rappresentato e ciò che conosciamo della piazza pubblica pompeiana permette di operare una riflessione sulle modalità seguite dai pittori nella realizzazione del fregio. Quest’ultimo si configura come una rappresentazione che, come è logico, non pretende di riproporre pedissequamente l’immagine del foro cittadino ma vuole piuttosto alludere ad una realtà nota all’osservatore antico tramite il ricorso a dettagli che, pur inseriti in un insieme apparentemente anonimo, risultano immediatamente riconoscibili. Le allusioni ad alcuni elementi monumentali rappresentati nel fregio si legano alle raffigurazioni di attività e azioni che costituiscono, a mio modo di vedere, un chiaro riferimento ad un contesto e ad un’occasione reale e concreta: la piazza di Pompei in un giorno di mercato (nundinae). Proprio a tale aspetto del fregio è de- dicato il quinto capitolo. Nel sesto capitolo ci si è riproposti di verificare le modalità attraverso le quali l’affresco si colloca all’interno del panorama della pittura romana e, più in particolare, della cosiddetta ‘arte popolare’. ai fini dell’interpretazione generale del fregio, si è al contempo cercato di sottolineare il ruolo assunto dall’ubicazione di quest’ultimo, vale a dire dalla sua collocazione in un ambiente peculiare quale l’atrium. Nel settimo e conclusivo capitolo confluiscono le considerazioni desunte dalle analisi condotte in precedenza. Queste, sommate al riesame di alcuni documenti epigrafici assai noti, e di altri che pur essendo di grandissimo interesse sono rimasti ai margini della discussione sui Praedia, consentono di avanzare una nuova proposta di lettura del fregio. Ne emerge l’idea di una pittura rispondente ad una duplice funzione: da un lato, un messaggio chiaro e significativo per tutti coloro che frequentavano i Praedia, accomunati dagli stessi interessi nella vita economica della città e forse coinvolti nello svolgimento delle nundinae; dall’altro, una raffigurazione che potremmo definire ‘trimalchionica’, in cui immagini di mestieri diversi si compongono in una possibile allusione all’ascesa sociale ed economica di un liberto e della propria famiglia. L’affresco rappresenta dunque il risultato di una special commission. Al redemptor ed alla sua officina si richiese di raffigurare luoghi ed eventi concreti, legati in maniera inscindibile con la realtà in cui gli osservatori e gli stessi committenti si trovavano ad operare. Ed è proprio questa considerazione, insieme alla notazione di evidenti richiami ad alcuni dei monumenti della piazza pompeiana, a costituire l’indizio decisivo a sostegno della proposta di riconoscere nel foro raffigurato una chiara e diretta allusione ad una piazza reale e ben riconoscibile, quella di Pompei. Così, pur dovendo riconoscere che il fregio non ci permette di cogliere l’effettiva realtà del foro pompeiano, non si potrà negare a costoro, e ai committenti dell’affresco, il merito di aver tramandato fino a noi l’immagine di uno spazio attivo, in piena funzione, rispondente alle esigenze della comunità cittadina anche dopo il sisma del 62 d.C. Uno spazio ben più vivo di quel campo di rovine che a lungo si è riconosciuto nel foro di Pompei.
2013
978-88-7228-701-9
Pompei; Foro; Nundinae; Praedia Iuliae Felicis
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.11771/10958
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